ÁRPÁD TÓTH

di | 4 de Luglio de 2011

QUESTO GIORNO PURE

Questo giorno pure,
Come altri
È passato. Fine.
Questa sera pure,
Come altre
È venuta. Pace.

Umile pace
Ma che grato
Anche accetto,
Bello è il riposo
Pur se l’uomo
La pugna ha perduto.

Strana pace:
Calata nel buio
Essa tace,
Come occulto
Fiore notturno
Che nel crepuscolo

Color ebano
E’ solamente
Profumo silente
Che l’uomo riesce
Ad occhi chiusi
A fondo aspirare

Obliando,
Trasognando,
Non chiedendo
Quel profumo
Da che petalo
Si effonda:

D’un bel fiore
Come il giovane,
Come il nudo
Bocciolo di rosa
Color aurora
Dal gracile derma,

O d’una vecchia
Stanca rosa
Che al mattino
In terra si sfoglia
Muta alla polvere
Confondendosi? (1)

VICINO AL FUOCO CHE SOFFIA

Qual scontro di treni nella Cina lontana
Che è strano trafiletto e non mi sfiora
Ché forse neppur vero, sì alieno e remoto,
Tal ora parmi la vita che vola e si fa vana…
Memorie affiorano dall’infanzia soave,
Vago in perdute stanze, parole, cuori.
Ricordi! Su fogli ingialliti tanti tratti
Di ormai spenti carboni, fuligine fine…

Dal colle pallido che dorme si leva la luna,
Bel pallone sfuggito sul convulso mercato,
E fulgida si libra sulla cieca folla terrena.

La guardo e chiede il mio sorriso trasognato:
Che soffia è il fuoco oppure è la mia pena,
Che inguainate in cuor le unghie, fa le fusa? (2)

(1, 2) Traduzione © di Mario De Bartolomeis

NUVOLA D’ORO

La nuvola d’oro sul cielo
Dove va? Dove va?
Io giaccio sul prato di sera
Nell’oscurità sull’erba,
Tace la campagna.

La nuvola d’oro sul cielo
Se ne va, se ne va,
Un cuore sul prato di sera
Nell’oscurità sull’erba
Tacendo duole.(3)

NELL’ORA INFRUTTUOSA

Sono solo.
Tanto.
Le mie lagrime sgorgano.
Le lascio.
Una tela cerata sul mio tavolo,
Sto fabbricando pigramente un canto,
Io, un personaggio macilento, pietoso,
Io, io.
E sono solo in tutto l’Universo. (4)

(3, 4) Dall’antologia «Le voci magiare» di Melinda Tamás-Tarr Bonani,
Edizione O.L.F.A., Ferrara, 2001, pp. 74, L. 8.500
Traduzione © di Melinda Tamás-Tarr Bonani

SINO ALLA PRIMAVERA
OD ALLA MORTE

Új – Tátrafüred

Or che di strada ancora sono uscito
In questa sera d’inverno io mi chiedo
Cos’è stata la vita, mio Signore?

Questo essa è stata: tanta opacità
Spento tributo e gran necessità
Limiti tristi a cento, disperati.

Cieli coperti con poco d’azzurro,
Questua amicizia con due signoroni,
Di corda lisa due note svenevoli.

Di talamo un paio d’ebbrezze selvagge,
Di donna un paio di belle labbra calde,
Vero, non vero; il mio cuore ora tace.

Adesso siedo tra monti maestosi,
Malato in mezzo ad altri malati:
Spalle al passato, alla morte dinanzi.

Sarà diverso? Dovrò attenderlo forse?
Nell’ombra sbandano senza padrone
Lenti i miei averi, aneliti, ideali.

Le loro orme, qual nero impellicciato,
Segue un vecchio porcaio incappucciato,
Piano s’avanza muta la rinuncia.

Nell’inverno dalla coltre silente
Però vivo una stagione di pace,
Io lo sento che Dio pensa con me.

Come i cespugli con le scure bacche
Sotto la neve serbano l’aroma,
Colmo il mio cuore è di fresche bellezze.

A che sarà servito non sapremo
Sinché di neve il manto non si sfalda,
Sino alla primavera od alla morte.

In pace giaccio, pigro, rassegnato,
E mi osserva dalla sera infinita
La mia sorte meditando il Signore. (5)

(5) Traduzione © di Mario De Bartolomeis

COME UN SOSPIRO

La lontananza
Pe