CAPIRE UNA POESIA

di | 29 de Novembre de 2009

“Portami il girasole ch’io lo trapianti”

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

(Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925)

L’invocazione iniziale è un verso di quelli che si stampano nella memoria: portami il girasole ch’io lo trapianti. C’è tutta la forza di una preghiera e la debolezza del poeta, la cui anima è un terreno bruciato dal salino, una ferita di una terra dolorosa. Il girasole, pianta magica e dalle foglie gialle, come quei limoni cantati da Montale in altre liriche, è quasi reso in maniera antropomorfica, con quel volto giallino che chiude la prima quartina. Ma più che un uomo è un angelo, una divinità, un mago, che tende verso il cielo azzurro per ansia e bramosia di infinito: non un girasole, il girasole.

La seconda quartina esprime tutto il disincanto tipico della poetica di Montale: anche il cielo non è che illusione, ma una bellissima vanità, una musica che compensa l’inconsistenza di tutte le cose. Ecco il significato del passare dalla corporeità a sensazioni che vanno oltre l’estensione: la vista e poi l’udito, che dei sensi è il più volatile. La constatazione che lo svanire è la ventura delle venture ha anch’essa un che di magico: il morire nella musica, che è la cosa più vicina alla poesia, è un destino che ha in sé qualcosa di meraviglioso. In questo senso questa strofa simboleggia alla perfezione quella amara meraviglia che percorre come un filo continuo tutta la poetica di Montale.

L’ultima parte riprende l’inizio del componimento per quanto riguarda l’invocazione e prosegue il tema del dissolvimento: trasparenze e verbi quali vapora fanno capire quanto ci stiamo allontanando dalla materialità per giungere all’essenza. Il girasole è ormai simbolo di un’ebbrezza quasi mistica, che rischiara la visione delle cose, estremo tentativo di una poesia che è anche filosofia, teoria (nel senso greco del termine: vedere) della luce, qualcosa di fronte al quale non si può fare altro che impazzire. Quello che sta chiedendo Montale alla sua Musa non è conoscenza, è qualcosa di più, è quello che ai poeti, e anche a me, piace chiamare Illuminazione.

Pubblicato da StePius
in Commenti di poesie di Eugenio Montale

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